11 Aprile 1869 - 7 Luglio 1937
Tullio CURTI e le sue 4 figlie
Tullio, nato nel 1869, un ramaio benvoluto e stimato di Sossano, ormai quarantenne, aveva avuto dalla moglie Angelica Selmo, ben 4 figlie. La loro abitazione era in via Roma, in pieno centro, di fronte al panificio.
Fra il 1931-32, tre di loro, Costanza, di 21 anni, Ines di 16 anni e Bruna di 17 anni si ammalarono tutte di tubercolosi e in poco tempo morirono. La prima che si ammalò fu Costanza che poi la trasmise alle sorelle. In quegli anni le famiglie tenevano il malato rinchiuso tra le mure domestiche, sperando in una rapida guarigione che spesso non avveniva. Per quanto possibile nessuno doveva venire a sapere la verità, e si giustificava l’assenza con visite a parenti lontani. La tubercolosi era ritenuta infatti “una vergogna sociale”. Questo perché era più frequente nelle famiglie povere, che vivevano in ambienti malsani e con una scarsa alimentazione che riduceva le difese immunitarie e dunque difficoltà di guarigione in caso di contagio. Il padre Tullio soleva dire che se fosse morta anche l’ultima figlia, Bianca, di 19 anni, si sarebbe ammazzato. Cinque anni dopo la morte delle tre sorelle anche Bianca fu colpita dalla tubercolosi e, nella notte del 6 luglio del 1937, morì tra le braccia del padre. Tullio, all’alba del mattino seguente, salì al cimitero di Sossano, davanti alla tomba delle altre figlie, si sparò con una pistola. |
Il colpo secco, inconfondibile, svegliò gli abitanti della zona. Accorsero subito delle persone e con grande sgomento scorsero Tullio, oramai esanime, a terra. La notizia volò in poco tempo in ogni casa del paese. Con il passare delle ore fu un continuo via vai di persone che salivano sul colle. Rimanendo fuori dalle mura del cimitero, inginocchiati, pregavano. Sossano era una comunità, specie nel dolore di una famiglia. In questo caso si sentirono tutti di appartenere a una sola famiglia.
Secondo la legge canonica, il cimitero fu dichiarato sconsacrato, perché il suicidio era un sacrilegio e per di più era avvenuto in un luogo santo. Il 9 luglio 1937 l’arciprete don Bortolo Meggiolaro procedette alla “riconciliazione del cimitero violato” con una solenne benedizione e recita di salmi, tra la Commozione di una folla che gremiva all’inverosimile il camposanto. Per molti anni a venire chi si recava sul colle di San Michele alla tomba dei propri cari, non se ne andava se non aveva portato un fiore e recitato una preghiera anche davanti a Tullio e alle sue figlie.
Secondo la legge canonica, il cimitero fu dichiarato sconsacrato, perché il suicidio era un sacrilegio e per di più era avvenuto in un luogo santo. Il 9 luglio 1937 l’arciprete don Bortolo Meggiolaro procedette alla “riconciliazione del cimitero violato” con una solenne benedizione e recita di salmi, tra la Commozione di una folla che gremiva all’inverosimile il camposanto. Per molti anni a venire chi si recava sul colle di San Michele alla tomba dei propri cari, non se ne andava se non aveva portato un fiore e recitato una preghiera anche davanti a Tullio e alle sue figlie.